Quando il treno stava per partire, dal finestrino vedevo che chi partiva era salutato da parenti ed amici, invece io ero sola, non uno sguardo amico, non un sorriso. Quando il treno si mise in modo, mi commossi e piansi: « Dove andrò a finire? >.
Giunta in città mi sentivo sperduta, perché non conoscevo nessuno.
Raggiunta la casa della signora Gasperi, era mezzogiorno e mi ricevette in cucina, poi se ne andarono in sala a mangiare ed io rimasi in cucina ad aspettare che mi chiamassero a pranzo con loro. Invece poco dopo giunse la signora con un piatto e me lo porse come ad un cane.
« Dove mangio, signora, visto che qui non c'è un tavolo? ".
« Quelli che vengono da noi, mangiano con il piatto sulle ginocchia ». Piansi tanto e volevo andarmene, ma mi dovetti fermare per forza.
Avevo come compagni due gatti che piagnucolavano sempre ed erano i miei soli amici. Gli altri mangiavano da soli e quando avevano bisogno di me suonavano il campanello. Compravano una ciambella di pane soltanto per me e tenevano conto dì quanto ne mangiavo e mi rinfacciavano di mangiar troppo. Loro intanto mangiavano pane bianco.
A colazione acquistavano mezzo litro di latte, ne prendevano per loro, ne lasciavano un po' nel legammo, aggiungevano un po' d'acqua e poi lo passavano a me.
Il fratello della signora era un prete che quando celebrava la Santa Messa predicava di amare il prossimo, lo lo ascoltavo e dentro di me
dicevo: » Proprio tu parli di amore, quando i tuoi parenti mi danno da mangiare con i gatti? ".
Chiesi: * Signora, dove dormo? ». Mi portò in una piccola soffitta sotto il tetto. C'era umidità e muschio, lo nel raccoglierlo pensavo allo zio che quand'ero piccola mi portava nella sua proprietà sull'asino con un fazzoletto in testa perché non prendessi freddo. Sentivo tanto la sua mancanza. Era stata l'unica persona che mi aveva voluto bene. La soffitta era piccola, buia, sicché avevo paura. II letto era pieno di cimici. Piansi tanto, soffersi e deperii a vista d'occhio.
Quando andavo a letto guardavo dalia fine-struccia e cercavo un raggio di luna. A volte sentivo cantare una canzone triste che terminava con le parole: » A ca non ci sta nisciuno ». Anch'io pensavo « Per me davvero non c'è più nes suno », e soggiungevo: » Com'è triste essere soli nella vita! ».
!n quella casa rimasi soltanto 11 mesi, ma ogni giorno mi pareva un anno.
Un giorno dissi: « Signora, me ne vado, perché qui l'aria mi fa male ».Ritornai al mio paese dalla mia amica che nel vedermi esclamò: « Come sei ridotta! Che cosa ti è successo? ».
Risposi: « Aiutami, perché non mi sento nemmeno di stare in piedi ».
Mi accompagnò dal medico che mi diede una cura ricostituente. Ero debolissima, avevo 22 anni e ne dimostravo 18. Chi mi conosceva mi compassionava e diceva: « Povera ragazza, senza nessuno; che fine farà ». Nel sentirli mi si stringeva il cuore e così mi sentivo peggio.
Un giorno una signora mi chiamò e mi disse:
• Silvia ci sono due persone anziane che cercano una ragazza che faccia loro compagnia e faccia la pesa ».
• Prima li voglio conoscere - e mi recai da loro con la mia amica.
Erano un fratello ed una sorella: lui era un prete ed erano di nobili origini.
Il prete mi disse: - Mi sembri una brava ragazza, se vuoi stare con noi ti tratteremo come una della famiglia ».
• La ringrazio, ma voglio sapere quanto mi darete al mese -.
« Quattromila lire al mese, più il mantenimento ».
Così accettai. Si vedeva che erano persone per bene.
M prete lo era nel vero senso cristiano, erano umani, ogni venerdì facevano l'elemosina ai poveri che bussavano alla porta. * * *
Un giorno incontrai un ragazzo che mi disse:
- Signorina, le voglio parlare ».
10 mi misi a scappare perché temevo che mi prendesse in giro. Ero sola e non sapevo come comportarmi.
- Come faccio a sposarmi, pensavo, senza genitori? ». Allora dissi al prete: « C'è un ragazzo che vuole sposarmi ».
* Di' a questo ragazzo di venire da me, così gli parlo, sento le sue intenzioni e se ti piace mi interesso io, ti farò da padre e tu ti sistemi.
11 giovane si presentò al padre e disse: « Non posseggo nulla, però lavoro, ed ho la salute finche Iddio mi aiuta ». Tirai un sospiro perché anch'io non avevo nulla di mio.
Ci siamo fidanzati e dopo due mesi e mezzo ci siamo sposati.
Il prete diceva la Messa alle quattro del mattino perché eravamo nel periodo natalizio e così per il Santo Natale ci sposammo.
Ricordo: la campana che suona, la gente che si avvia alla Chiesa, le luci, i canti.
Quelli che mi conoscevano mi chiedevano: . Ti sposi stamattina a quest'ora? ».
• Non lo so ancora ».
Mi sentivo triste perché i genitori di mio marito erano contrari a questo matrimonio, perché io ero povera. Finita la Messa di Mezzanotte, la gente se ne andò e noi ci sposammo senza cerimonie. Il prete voleva sposarci in sacrestia perché chi scappava di casa si sposava alle quattro del mattino.
lo piansi tanto e dissi: « Non sono scappata di casa, sono ancora come mi ha fatto mìa madre, quindi voglio essere sposata all'aitar maggiore ».
Ero felice perché mio marito era un cittadino, mentre io ero una provinciale. Non lo conoscevo sncora del tutto perché veniva a trovarmi soltanto una volta alla settimana e c'erano sempre presenti i cugini che non ci lasciavano mai un momento soli. Facevano la guardia, come la fanno i soldati, sicché per me mio marito era come un fratello.
Mi ricordo che egli mi diede il primo bacio perché non sapevo che cosa fosse l'amore.
Dentro di me dicevo: « Ho sofferto tanto nellamia infanzia, più di così non soffrirò certamente mai, quindi è bene che mi sposi. Avrò dei figli e non sarò più sola ». Invece la fortuna, sempre contraria, non mi ha permesso d'averne.
Mio marito aveva preso in affitto una casa, due mesi prima che ci sposassimo, però era senza nessun mobiglio. Quando entrai in quella che doveva divenire la mia casa, vidi che era completamente vuota e mio marito mi disse: « Non abbiamo nulla, c'è però un lettino, una bacinella ed un boccale per bere ».
Pensai: « Per fortuna che ha portato il suo lettino da scapolo! ».
C'eravamo sposati di sabato, lunedì andò a lavorare, perché avevamo bisogno di denaro. Rimasi così sola in casa, per tutta la settimana
Tutto però era come un sogno. Quando ritornò, dopo una settimana di lavoro, non avevo quasi neppure il coraggio di abbracciarlo.
La sera, prima di andare a letto, mi inginocchiavo ed invocavo Dio così: « Signore, aiutami tu, perché non so quello che faccio. Tu conosci la mia innocenza e sai anche che ho sposato quest'uomo con amore, dammi però la forza di poterlo amare per tutti i giorni che mi concederai di vivere ».
Per fortuna mio marito mi ha sempre lasciata libera, perché secondo lui, la donna è uguale all'uomo.
E' un grande lavoratore, mi ha sempre voluto molto bene e non voleva che andassi a lavorare, perché, secondo lui, la donna deve stare in casa ad accudire alla sua famiglia.«Hai sofferto tanto nella tua infanzia, non devi andare più a lavorare ».
Gli ho sempre voluto bene, sono ormai trascorsi 25 anni dal nostro matrimonio che abbiamo ora festeggiato, ma gli voglio più bene di prima.
Pregavo anche: « Quanta ingiustizia c'è su questa terra! Si perde la ragione, si vive nell'ignoranza, lo ho conosciuto l'ingiustizia fin da piccola, perché tu sai che ho perduto troppo presto i miei genitori ed ho provato la cattiveria delle persone. Aiutaci quindi tu, o Dio e fai cessare tutte queste ingiustizie! ».
Quando morì mia madre, rimasi sola in una casa vuota e buia senza il conforto di una voce amica. A sera andavo a dormire, come un cagnolino a cui manchi il padrone. Mi guardavo intorno ed invocavo il nome adorato di « mamma, mamma! ». Piangevo in silenzio e non sapevo rassegnarmi alla mia triste sorte.
Dovetti rimboccarmi le maniche, fare tutto da sola, andare a lavorare per poter mangiare e vestirmi, da gente che non mi amava e mi sfruttava.
Avrei tanto voluto avere una mamma che anche mi sgridasse, ma che mi mandasse a scuola, mi preparasse qualcosa da mangiare.
Ora comprendo il grande bene di saper leggere e scrivere.
Maledicevo mia madre che aveva generato otto figli: se ne avesse avuti soltanto due io non sarei venuta al mondo e non avrei sofferto tanto.
Non ho mai avuto alcuno che mi volesse bene; non ho conosciuto che cosa vuoi dire affetto;