LIBERTA' di giovedì 28 luglio 2005 > Prima Pagina

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rinata4
00venerdì 29 luglio 2005 13:09
Come insegna l'antica sapienza cristiana, dal male può derivare un bene (ex malo bonum). E così, dai più infami attentati del terrorismo islamista, ha ricevuto un qualche slancio non solo una più rigorosa politica della prevenzione e della repressione, ma anche - sembrerebbe - una più intelligente e razionale strategia dell'accoglienza e dell'integrazione. Pur con molti errori e altrettante incertezze, pur condizionato dalle pulsioni paranoiche della Lega, il ministro Giuseppe Pisanu - va riconosciuto - persegue, ormai da tempo, una sua strategia del dialogo. Così riassumibile: colpire i criminali e, allo stesso tempo, dare legittimità a strutture di rappresentanza dei musulmani d'Italia. (La sola preoccupazione è che i grossolani mezzi adottati per i criminali siano così approssimativi che finiscano col colpire nel mucchio).
La Consulta islamica costituisce un importante passo in quella direzione.
Si tratta di vedere, ora, come la Consulta, in presenza di associazioni musulmane differenziate e tutte poco rappresentative, potrà funzionare davvero: efficacemente e democraticamente; e, soprattutto, si tratta di scegliere la via maestra affinché i musulmani - e non solo i loro rappresentanti - accettino e possano praticare regole e vincoli, opportunità e limiti, diritti e doveri, propri del sistema democratico. Quanto deciso dalle amministrazioni comunali di Torino e di Bologna nei giorni scorsi (la partecipazione alle elezioni per le circoscrizioni cittadine) e soprattutto, in prospettiva, il diritto di voto amministrativo (per chi risiede regolarmente in Italia da un congruo periodo di tempo), è il passaggio indispensabile. In termini complessivi, si tratta di approvare la legge generale sulla libertà religiosa e le intese tra lo Stato italiano e le confessioni diverse da quella cattolica.
Da anni si attende l'approvazione della prima e la firma, o il perfezionamento, delle intese non solo con i musulmani, ma con buddisti, induisti, testimoni di Geova... Se consideriamo la questione in questi termini, il tradizionale vocabolario politico («moderati» e «radicali") assai male si adatta a descrivere, e a risolvere positivamente, differenze e conflitti all'interno del mondo islamico d'Italia. Il vero discrimine è uno e uno solo: l'accettazione del sistema democratico e dello Stato di diritto, con le sue regole e i suoi limiti. E con i suoi valori irrinunciabili: quali, ad esempio, il metodo non violento nella lotta politica e - su un altro piano, non meno importante - il principio della parità tra uomo e donna. I diritti universali della persona fondano irrevocabilmente la disponibilità di garanzie sociali, civili e politiche per gli stranieri presenti nel nostro paese; e, insieme, indicano i vincoli da rispettare. Questo motiva l'inclusione dello straniero all'interno del sistema della cittadinanza (assistenza sanitaria, difesa legale, libertà di organizzazione e di culto collettivo...): ma, allo stesso tempo, motiva l'interdizione e la sanzione nei confronti di pratiche che, quei diritti, violino. Si pensi alle mutilazioni sessuali e alla poligamia (che, pure, non rimandano necessariamente al Corano).
E, tuttavia, uno Stato democratico efficiente è in grado di accogliere le diverse forme di vita delle minoranze (riti religiosi, pratiche alimentari, festività...), quando non pongono dilemmi etico-giuridici irrisolvibili. Lo Stato democratico deve proporsi come casa comune in grado di offrire a quanti risiedano nel suo territorio pari opportunità per coltivare i propri valori e affermare i propri diritti: nel rispetto dell'ordinamento giuridico vigente. All'interno di un perimetro di norme e di principi così definito, ai musulmani d'Italia va riconosciuta piena cittadinanza. Ai musulmani delinquenti come ai cristiani delinquenti e agli atei delinquenti, tutta la severità del codice penale.

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