Fatti d'arme di Alessandro Farnese all'assedio di Anversa

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Xerse
00mercoledì 16 aprile 2003 21:16
Questo brano dell'epoca racconta un episodio dell'assedio di Anversa durante la Guerra di Fiandra.
La città si era ribellata agli spagnoli negli anni 80 del 1500 ed era stata assediata dall'esercito di Filippo II (il corsivo è mio) .


Premessa.
...Federigo Giambelli, meraviglioso ingegnere di macchine militari, si diceva che avesse lungamente richiesto udienza al Re di Spagna, per offrirgli l'opera sua. Ma l'udienza fu differita per molto tempo e, alla fine, sprezzatamente rifiutata. Ond'egli se ne partì feroce e giurò che un giorno gli spagnoli avrebbero ascoltato con le lacrime agli occhi il nome di colui che avevano umiliato. Quindi se ne andò ad Anversa, scorgendo in quest'occasione piena comodità di sfogare l'animo irato...

Alessandro Farnese, comandante dell'armata spagnola assediante, per stringere maggiormente la morsa su Anversa, fece costruire un enorme ponte sullo Schelda che, oltre a consentire alle truppe spagnole di spostarsi fra una sponda e l'altra, aveva il compito fondamentale di bloccare qualsiasi aiuto alla città, che poteva giungere solo dal fiume.
Gli aversani avevano però dalla loro Federigo Giambelli il quale escogitò un modo per distruggere il ponte. Due geni italiani a confronto, uno da un lato l'altro dall'altro delle mure di Anversa.


Il fatto.
Rafforzate le guardie dei forti e degli argini, e chiamati alla difesa del ponte i soldati migliori, Alessandro attendeva le mosse dell'avversario. Quando ecco che una notte apparvero sullo sfondo della città tre navi tutte rilucenti di fiamme, e poi di mano in mano alcune altre. A questa vista fu per gli alloggiamenti gridato l'allarme, e da numerosi altri soldati occupato il ponte. Venivano quelle portate dalla corrente a due ed a tre, con ordine regolato, quasi per pompa e tutte ardevano di fuochi così luminosi che pareva non fossero controllati ma che andassero in fiamme le stesse navi. Aggiungeva bellezza a sì fatta scena l'apparenza e la pompa dei capitani e dei soldati spagnoli che sopra il ponte spiccavano in lunghe file, con l'armature splendenti, co' ferri sguainati e con l'insegne spiegate. Come se fosse un nuovo teatro, la scena, all'approssimarsi delle navi, dava insieme orrore e diletto; e quegli stessi ch'erano spaventati, gustavano di ciò che li spaventava (...)

Quando quella nave, che noi mentovammo come la più vasta e più gagliarda delle altre, penetrò violentemente i ripari e minacciosa finì contro del ponte. Stava Alessandro nella piazza di legno, ch'era l'estrema parte dello steccato (in realtà il ponte era l'unione di uno steccato e un ponte di navi) verso la provincia di Fiandra. Era con lui un alfiere spagnolo, antico nella sua corte e non imperito di tali macchine, che gli salvò la vita. Poichè, o sapesse quanto in quest'arte era eccellente il Giambelli o pure non facesse egli discorso umano, ma per ispirazione venuta dal Cielo, il quale aveva decretato che Anversa fosse pigliata da un capitan sì forte e sì pio, avvicinandosi ad Alessandro, lo pregò caldamente di ritirarsi al riparo. Ma ributtato, mentre facendo egli istanza pur la seconda e la terza volta, non gli erano date orecchie, prostrandosi alle ginocchia di lui ed insieme riverentemente pigliatolo per la veste, lo supplicava cun una tal maniera d'imperio che lo seguisse.

Alessandro, interpretando l'insolita libertà di quell'uomo più altamente che come umano consiglio, finalmente gli condiscese, e partì. Appena egli avea posto il piede nel forte di Santa Maria, quando, giunta l'ora del tempo già misurato, scoppiò repentinamente il vascello fatale con sì spaventoso fracasso che parve cadere il cielo, confondersi con le stelle l'inferno e crollare tutta la terra. Perciocchè, vomitata tra' tuoni e folgori una tempesta di sassi, di catene e di palle, seguì una strage sì mostruosa che taluno crederà non per altro esser ella potuta avvenire, se non perchè avvenne. Il forte presso la riva in cui diè la nave, la steccata verso il forte, i soldati, i marinai, i capitani, molte bombarde per tutto, l'arme e i ferri, confusi nell'istesso impeto, furono da forza violenta sbalzati in aria, e dissipati come foglie al vento. Lo Schelda, prodigiosamente aprendosi, parve che prima mostrasse il più cupo fondo, quindi uscito sopra le rive entrò più d'un piede alto nel forte di Santa Maria. Il tremuoto per nove miglia distese l'impeto e lo spavento e la strage degli uomini fu d'ogni altra più lagrimevole.

Nè però in sì dolorosa tragedia lasciò di fare i suoi scherzi questa furia crudele. Il Visconte di Brusselles, da un'improvvisa forza tolto di nave e slanciato in aria, fu da un'altra nave lontana accolto illeso. Più ancora fe' di viaggio un giovinetto della guardia del Principe, il qual dimorava sul ponte. Perciocchè, quindi sbalzato lungi dalla riva rivolta alla provincia di Fiandra, fu, con valicare per aria una gran parte di fiume, portato nell'altra riva della Brabanza, ferito sol nella spalla, con cui diede in terra. Certo alcuni di quei, che quindi scamparono, vennero in gran sospetto che chiunque fosse l'uomo artefice di sì bestiale invenzione, non si fosse egli servito per questa peste di materia naturale, ma che dalle fornaci d'inferno avesse acceso quel fuoco, avesse con parole d'incanto fatti venire dal cielo i tuoni e i folgori, e dalla palude stigia avesse derivate quell'acque tanto infocate. Così è familiare agli uomini il persuadersi che si avanzi sopra l'umane forze ciò che si avanza sopra il loro intendimento.

Morale dell'episodio: mai rifiutare l'offerta di un ingegnere italiano...[SM=g27817]
















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